I bambini e la competizione

Inutile girarci intorno, viviamo in una società fortemente competitiva. Potremmo dire che ogni giorno, o quasi, è una gara verso qualcosa. Può essere una competizione sportiva, un concorso, un esame, un colloquio di lavoro, il misurarsi con le altre persone per i motivi più diversi, ma anche la corsa affannata contro il tempo. Tutto ciò, però, riguarda, e non può essere altrimenti, pure i bambini.

Accettare la competizione, confrontarsi con i coetanei, mettersi in gioco, accogliere un’eventuale sconfitta, sono tutti aspetti che dovrebbero trovar posto nell’educazione di un bambino. Ma come si può fare, quindi, per inculcargli simili “concetti”? Si potrebbe iniziare anche in casa, perciò nella vita di tutti i giorni: “vediamo un po’ chi arriva per primo alla porta!”, oppure “chi riesce a tirare quell’oggetto più lontano?” Così le mamme ed i papà avranno modo di insegnare l’importanza dell’impegnarsi in una competizione e quella, magari, di accettare una possibile sconfitta. Vincere fa contenti tutti, ma non è semplice misurarsi con le sconfitte. I bambini, però, dovranno per forza di cose andarci a sbattere. Gli esami non finiscono mai, così giustamente si dice, ed è opportuno fin da piccoli prendere in considerazione un simile aspetto.
L’educazione dovrebbe inculcare l’idea che l’umanità è una sola famiglia con interessi comuni. Che di conseguenza la collaborazione è più importante della competizione.
La frase in questione è del celebre filosofo e matematico gallese Bertrand Russell. Tutto ciò può essere accolto da tanti come pura utopia, da altri come qualcosa di veritiero. Magari la verità si trova nel mezzo, ma i bambini devono prendere confidenza con aspetti legati alla competizione, alla sconfitta. Solo dopo, magari, si potranno confrontare col grande aforisma di Russell.

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