Inserimento scuola materna: parliamone con Tiziana Giacomini

10 consigli utili a tutti i genitori e un percorso personalizzato per un buon inserimento alla scuola dell’infanzia

 

Affrontiamo il sentito tema dei primi giorni di scuola dei bambini più piccoli ed in particolare di eventuali difficoltà e problematiche legate all’inserimento alla scuola materna con la Dottoressa Tiziana Giacomini, psicologa clinica specializzata in psicoterapia cognitivo-comportamentale.

 

inserimento1Dott.ssa Giacomini, per iniziare ci parli un po’ di lei e di come è arrivata alla scelta della sua specializzazione.
Ho iniziato a lavorare con i bambini già al liceo, quando insegnavo ai corsi base di ginnastica ritmica nella palestra dove io stessa mi allenavo. È nato allora l’interesse verso il mondo della scuola dell’infanzia che coinvolge questa fascia d’età.
Una volta laureata, ho fatto esperienza in valutazione e trattamento di disturbi di patologie dell’età evolutiva presso l’ospedale civile e presso il consultorio familiare che si occupa di affido di minori della mia città d’origine, Ascoli Piceno.

 

… e poi ha scelto la strada della scuola materna?
Sì. La cosa che mi ha avvicinato all’insegnamento e che più mi appassiona della scuola materna è proprio legato al particolare momento evolutivo del bambino che influenza in maniera determinante il suo futuro. 

 

Ci può spiegare cosa avviene nel bambino in questo periodo dell’infanzia? 
Dalla nascita fino a circa sei anni l’essere umano è dotato di una particolare sensibilità sensoriale. La grande quantità di informazioni dirette e indirette che un bambino impara in questi anni è assorbita, attraverso i sensi, dall’ambiente e dalle persone che lo circondano : vista, udito, tatto, olfatto e anche gusto: ogni senso è ricettivo e sensibilissimo. 
Proprio tra i 3 e i 6 anni circa ci troviamo in quello che Piaget chiama stadio preoperatorio: il bambino durante questo stadio diventa in grado di usare i simboli, le immagini, le parole e le rappresentazioni mentali che si manifestano principalmente attraverso l’imitazione differita, grazie alla quale è capace di osservare e successivamente, a distanza di tempo, di riprodurre quello che ha osservato, dimostrando che ha conservato una rappresentazione interna del modello.
Durante questi anni, quindi, il bambino compie un lavoro fondamentale:  definisce e perfeziona quelli che resteranno i tratti salienti della sua personalità. Comincia a scegliere in modo consapevole e acquisisce indipendenza. Desidera fare da solo, ama fare esperienze concrete, vuole prendersi cura dell’ambiente in cui vive e di sé stesso.  
Insomma, il bambino o la bambina mette le basi dell’uomo o della donna che sarà.
Per questo motivo sono consapevole di avere una grande responsabilità nei suoi confronti e allo stesso tempo ritengo di avere un ancor più grande privilegio nell’esserci.

 

Parliamo più nello specifico della problematica dell’inserimento. Perché alcuni bambini si inseriscono in modo relativamente facile ed altri invece hanno una reazione quasi disperata?
L’ingresso alla scuola dell’infanzia rappresenta un passaggio decisivo per ogni bambino verso l’autonomia e la socializzazione. Molto spesso si tratta del primo vero distacco dalla famiglia, ad esempio, nel caso in cui il bambino non abbia frequentato il nido.
Ovviamente per ognuno il comportamento è diverso. Ci sono bambini che si inseriscono subito giocando già nei primi momenti, altri rimangono ad osservare in disparte e preferiscono esplorare l’ambiente con più cautela. Altri ancora, invece, vivono il distacco in maniera più traumatica: può capitare, nei primi giorni, che piangano disperati e assolutamente non vogliano essere lasciati dai genitori.
Nessuno di questi casi rappresenta una situazione anomala, la reazione all’inserimento è diversa per ogni bambino per una questione legata strettamente al temperamento, quindi al carattere, più o meno socievole, timido, estroverso, timoroso, del bambino, ma anche alle sue passate esperienze di separazione e le modalità con cui le ha affrontate e superate in relazione al tipo di attaccamento ai genitori che ha sviluppato.

 

Ma per quale motivo le reazioni dei bambini al distacco possono essere così tanto diverse?
Per chiarire le motivazioni possiamo rifarci alla teoria di Bowlby, che ha differenziato l’attaccamento del bambino molto piccolo ai genitori a seconda della reazione ad una separazione da loro, e delle reazioni del bambino al momento della ricongiunzione.
Il bambino con un attaccamento sicuro, pur mostrando tristezza o disperazione al momento del distacco, è quello che in assenza della madre riesce comunque ad organizzare un gioco con l’estraneo, a consolarsi e ad attendere con fiducia il ritorno della madre, alla quale corre incontro e dalla quale si lascia coccolare ed abbracciare al suo arrivo.
Al contrario, il bambino con un attaccamento insicuro, è quello che non ha dentro di sé ancora quella fiducia di base, che gli permette di sperare, e credere, nel ritorno della madre.
In questo caso, a fronte di una separazione, non riesce a concentrarsi su un gioco o a “fare finta di niente”, mostrandosi poi o aggressivo o distaccato al momento del ritorno della madre. È comunque importante sottolineare, come già detto, che non si parla di anormalità o patologia, ma semplicemente di modalità differenti con cui il bambino prova ad affrontare la paura  più primitiva e radicata in noi: quella dell’abbandono.

 

Quindi, qualsiasi siano i comportamenti iniziali e le difficoltà, tutti i bambini riusciranno ad inserirsi?
Certamente. C’è il bambino che trova presto, anche se comunque dopo un primo momento di disorientamento, nuovi ancoraggi (nell’educatrice, in un compagno, in un nuovo gioco) per superare la tristezza e il timore legati alla situazione. Quello invece che ha bisogno di un tempo maggiore, di essere consolato più spesso, sollecitato verso diverse attività e che, inizialmente, fatica ad entrare in relazione con gli altri, arrivando anche ad escluderli volontariamente ed a rifiutarli.
Si tratta comunque di una crisi passeggera, che tenderà a risolversi nel tempo dando al bambino un nuovo equilibrio.

 

Spesso l’inserimento avviene con la mamma. Ma se invece avviene con l’aiuto del papà o di un’altra figura famigliare cambia qualcosa per il bambino?
È vero, l’inserimento avviene solitamente con la mamma, ma in realtà si parla di genitori o, più esattamente, di caregiver. Non ci sono regole rigide da seguire, purché a fare l’inserimento è comunque una figura significativa per il bambino. I consigli e i comportamenti da adottare per gestire l’inserimento sono assolutamente gli stessi; la reazione del bambino dipenderà dal rapporto con il caregiver scelto oltre che dal suo personale stile di attaccamento.

 

Che cosa possono fare i genitori, o i “caregiver”, dei bambini che non sopportano il distacco per aiutarli a superare questa difficile fase?
Nel caso in cui si presenti un inserimento difficile la soluzione più intelligente, e anche la più semplice, è che il distacco avvenga in modo graduale. Perché un bambino si inserisca bene è necessario che al momento del distacco il genitore si mostri contento e che gli trasmetta fiducia ed entusiasmo; fiducia che si traduce nell’essere certi che il proprio bambino sarà in grado di superare questo momento difficile.

 

Spesso sono i genitori ad affrontare con più difficoltà l’inserimento del bambino, magari perché si sentono inadeguati o incerti quando non riescono ad aiutarli. Cosa direbbe loro per rassicurarli?
In effetti mi capita che siano proprio i genitori a chiedermi “In cosa sto sbagliando?”
Cerco sempre di rassicurarli dicendo loro che non sbagliano ma spiegando loro alcune piccole cose che li aiutano ad essere più sereni. Durante questo periodo è normale che il bambino pianga nel momento del distacco. Il pianto serve anche a scaricare la tensione, è liberatorio e nella maggior parte dei casi finisce in fretta. Il modo migliore per inserire il bambino è mostrarsi contenti per questa nuova esperienza; i bambini sono molto empatici verso le emozioni come verso le preoccupazioni dei genitori.
Se nel momento del distacco il caregiver è preoccupato o ansioso il bambino accetta la separazione con più fatica, manifestando a volte rabbia e paura.
Quindi il primo passo è proprio quello di affrontare serenamente il distacco senza sensi di colpa o sentimenti di inadeguatezza, in modo che il bambino impari a fare la stessa cosa, sostenendolo in questo suo passaggio impegnativo, senza cedere, però ai capricci e ai ricatti; il legame genitore – figlio è così forte che mai sarà scalfito da un breve periodo di lontananza.
Il caregiver può, invece, approfittare per osservare e gioire delle piccole nuove conquiste del proprio bambino, concentrandosi sui momenti di cura e gioco che trascorrono insieme.

 

E invece a quei genitori che, al contrario, si spazientiscono e vorrebbero tempi brevi e certi, spesso per motivi leciti di lavoro, cosa consiglierebbe?
Sono consapevole della problematica legata alle esigenze lavorative; ovviamente il tutto dipende molto dal tipo di lavoro che si ha, e da quanto è difficile prendersi qualche settimana di ferie in più: per la maggior parte dei lavoratori, dipendenti o autonomi che siano, è un importante problema. Ma non deve essere il bambino a pagare le conseguenze di questa disorganizzazione sociale.
In generale, ogni cambiamento comporta sia la necessità di adattarsi sia la paura dell’ignoto, mobilitando in ognuno di noi grandi quantità di energia mentale e ovvie difficoltà.
Dato che è possibile superare queste difficoltà solo se insieme genitori e insegnanti rispetteranno i tempi del bambino, diventando parte del lungo e complesso cammino della crescita, dico loro che è preferibile, soprattutto nel bambino,  affrontare con calma la novità , per non correre il rischio di restare senza risorse e doverle recuperare tramite modalità regressive e cadere in vissuti depressivi; per questo motivo il fattore “tempo dell’inserimento” è determinante anche per dare la possibilità di creare un attaccamento sicuro al caregiver secondario (ovvero l’insegnante). 

 

Quanto conta la collaborazione con le insegnanti?
Conta tantissimo, anzi oserei dire che è tutto! A maggior ragione nel caso di un inserimento più difficoltoso, i genitori non possono essere lasciati da soli. Le insegnanti sono educatrici: lasciamo che possano fare il proprio mestiere. Lasciamo che abbiano il tempo di capire e di conoscere il bambino e imparare le modalità migliori per calmarlo.

 

A volte si creano conflittualità tra genitori ed insegnanti, sia durante l’inserimento sia in seguito. Da cosa nascono?
A livello inconscio potrebbero insorgere delle dinamiche relazionali tra educatore e genitore in merito al giudizio. L’incontro tra le due figure e il racconto della giornata non devono essere giudicanti ma un semplice momento di partecipazione.
Sia l’insegnante che il genitore sono infatti, più o meno consciamente, esposti al timore del giudizio: per il primo è in discussione la professionalità, per il genitore è in discussione il ruolo stesso e la propria vita privata.
In questo rapporto è necessario cercare di superare questo timore, non omettere di raccontare eventi che potrebbero servire a conoscere meglio il bambino per la paura di essere giudicati.
Come, d’altra parte, non bisogna neppure essere convinti di essere i genitori perfetti e svalutare il lavoro fatto dagli educatori. La loro professionalità infatti consentirà di accogliere anche le eventuali problematiche vissute in famiglia nell’ottica di una conoscenza completa e rispettosa della storia di vita del bambino.
E infine, più semplicemente, non dimenticate mai che instaurare un buon clima con la scuola è fondamentale per il benessere del bambino.

 

E per quanto riguarda il ritorno a casa dopo le ore scolastiche? Si può continuare a “lavorare” sulle problematiche dell’inserimento anche a casa?
Quando il bambino torna a casa è necessario dargli tutto il sostegno emotivo di cui ha bisogno. Il bambino deve trovare al rientro un momento speciale tutto per lui, in cui possa raccontare quello che ha fatto, cosa ha visto o sentito, cosa ha imparato, un momento in cui si possa fare “qualcosa assieme”, per farlo sentire di nuovo a casa.
Se quando torna a casa, notate delle piccole regressioni, tipo cercare il ciuccio, essere imboccato o fare pipì addosso non rimproveratelo. Sono momenti passeggeri che segnalano che, comunque, qualcosa si è mosso: il bambino sta facendo uno sforzo per crescere. Tanti sono gli elementi che rendono il momento dell’inserimento importante e difficile da affrontare e non bisogna sottovalutarne nessuno.

 

Per concludere, può consigliare ai genitori un elenco di basilari comportamenti che possano facilitare l’inserimento e la serena frequenza della scuola dell’infanzia?
Certo, eccone alcuni fondamentali:

  1. se il bambino non vuole rimanere a scuola, non portatelo indietro, ma fermatevi a giocare con lui esplorando insieme gli spazi che condivide con gli altri;
  2. accoglietelo quando piange e trasmettetegli sicurezza, facendogli capire che può succedere di piangere in un momento difficile;
  3. non rispondete con stizza o impazienza, perché in questo caso la sua paura di essere abbandonato aumenterebbe;
  4. fate sentire al bambino che accettate e comprendete il suo stato d’animo: “So che ti dispiace che io vada via. Anche a me dispiace tanto, ma quando torno giochiamo insieme”. Traducendo i suoi sentimenti in parole, diamo un nome al suo disagio. Solo così il bambino lo proietta all’esterno e in un certo senso, se ne libera. Se mostrate di comprendere le sue ragioni, facendogli capire che siete dispiaciuti di non poter stare con lui, le resistenze si scioglieranno più in fretta;
  5. prima di uscire al mattino scegliete insieme il gioco da portare: sarà come se il bimbo si portasse un pezzetto di casa a scuola. Il giocattolo diventa un oggetto di transizione, di accompagnamento;
  6. stabilite dei piccoli rituali per facilitare il momento del congedo da ripetere ogni giorno in modo da imparare ad anticipare, prima del distacco, una serie di azioni abitudinarie che lo rassicurano;
  7. allo stesso modo, per rassicurarlo ulteriormente, concordate una serie di attività e giochi da fare al momento del ricongiungimento;
  8. non cercate pretesti e non inventate bugie per allontanarvi;
  9. salutate sempre il bambino rassicurandolo con la promessa di tornare presto. Se approfittate del momento in cui il bambino è distratto per andarvene, accorgendosi in seguito della vostra assenza si sentirà tradito e la volta successiva piangerà ancora di più, vorrà rimanere ancora più attaccato a voi per evitare che scompariate all’ improvviso;
  10. congedatevi con decisione e senza prolungare più del necessario i tempi, perché potreste infondere nel piccolo la convinzione che non siete sicuri di quello che state facendo.

Concludo poi con una considerazione generale: un inserimento personalizzato è la soluzione migliore sia per il bambino sia per le esigenze dei genitori; quindi strategie diverse e tempi distesi dove il ritmo dell’inserimento, cioè il tempo di permanenza a scuola, è strettamente individuale, calibrato in base alle risposte emotive del bambino.
È necessario, per il bene del bambino, non aver fretta e fidarsi dell’esperienza delle insegnanti.

 

Ringraziamo molto la Dottoressa Tiziana Giacomini per la completezza delle sue risposte e per la chiarezza delle sue spiegazioni, che crediamo potranno essere di grande aiuto alle nostre lettrici ed ai nostri lettori.

tiziana giacominiDi seguito riportiamo le qualifiche della dottoressa:
Tiziana Giacomini
Dott.ssa in psicologia clinica e di comunità
Laurea conseguita presso L’Università di Urbino “Carlo Bo”
Numero di iscrizione all’ordine degli psicologi del Lazio n° 19144
Specializzazione in psicoterapia cognitivo – comportamentale ad impianto causale presso l’Istituto Skinner di Roma

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