Riflessioni sulle mamme ad alto contatto
Sono sempre stata affascinata dai vari modi di essere “mamma”! Eh già, perché prima di rimanere incinta e ovviamente di diventare mamma, non credevo che ci fossero diversi tipi di “mamme”, e invece sì. Credevo che la maternità avesse un punto centrale: l’amore e la crescita per il proprio figlio. Invece quando ho intrapreso il mondo del mommy blog mi sono resa conto che non è esattamente così.
Ho scoperto dei mondi paralleli quasi sempre in lite tra di loro: mamme che allattano solo al seno e se usi il biberon sei out, mamme che usano il biberon e se hai provato a dare il seno sei out, mamme che preferiscono far piangere il bambino tutta la notte pur di non metterlo nel loro letto e quelle che al primo uheee si precipatano perchè guai a farlo piangere, mamme che fanno solo l’autosvezzamento perchè seguire le linee dei pediatri sarebbe nocivo, e quelle che non provano a fargli assaggiare nulla, perchè “non l’ho chiesto al pediatra”! Mamme che vaccinano e mamme che non vogliono nemmeno sentirne parlare, insomma mi sono accorta che il mondo delle mamme è davvero complicato!
Da qualche tempo mi sono imbattuta in un altro “mondo” parallelo quello delle mamme ad alto contatto!
Stavo seduta nell’autobus e ho visto in fermata una mamma con un neonato tenuto su una fascia, mi si è stretto il cuore e ho pensato a quanto fosse bello quel semplice gesto di amore. Ho iniziato a cercare un po’ in rete e proprio pochi giorni fa mi sono imbattuta nel post di 50 Sfumature di Mamma sulla Mamma Fasciante che ha generato molte critiche, e che invece a me ha fatto veramente ridere, come solo loro sanno fare.
Leggendo i commenti in rete mi sono resa conto che anche su un atteggiamento materno così semplice e primordiale c’è sempre da parte di molte un pizzico di estremismo.
Parto dal presupposto che secondo me l’alto contatto si istaura sin da subito, o almeno è stato così per me. Dopo 9 mesi in pancia, ho sempre avuto la grande necessità di vivere “fisicamente” mia figlia. Di abbracciarla, di accarezzarla, di sentire il suo profumo, di coccolarla e tenerla stretta a me. Ancora oggi che ha tre anni, non faccio altro che abbracciarla e darle bacini, tanto che mi dice: “mamma…basta! Solo uno”! Credo quindi, che anche io a modo mio sono una mamma ad alto contatto, se lo intendiamo in questo senso. Sono anche però una mamma che ha guidato la sua bambina verso l’autonomia: dormire da sola, mangiare da sola, non accorrere appena cominciava a piangere. Ho fatto semplicemente ciò che mi sentivo di fare, tutto qui.
Essere una mamma ad alto contatto è qualcosa di più, è una visione della maternità o meglio della genitorialità diversa. Come dice Silvana Santo in un articolo su Lifegate “è una scelta educativa che si propone di riconoscere e assecondare i bisogni del neonato e del bambino, considerando le sue richieste istintive (stare in braccio, dormire accanto alla mamma e al papà, mangiare quello che mangiano loro, attaccarsi al seno a prescindere dalle necessità strettamente alimentari) delle esigenze naturali e fisiologiche, e non delle cattive abitudini o, peggio, dei “vizi” da scongiurare. Per molti genitori, inoltre, la scelta del cosiddetto alto contatto rappresenta anche un ritorno a pratiche di “maternage” più naturali e sostenibili, una sorta di recupero di antichi istinti e consuetudini ancestrali, comuni alla maggioranza dei mammiferi, a cominciare dai primati”.
In che cosa consiste quindi l’alto contatto? Le mamme per uscire o anche dentro casa, usano la fascia porta bebè per tenerli sempre vicino a loro, praticano il co sleeping e l’allattamento a richiesta, intraprendendo l’autosvezzamento. Sono cose che io non ho mai sperimentato quindi non posso assolutamente dare una mia valutazione al riguardo. La mia piccolina era una piccola gigante, soffro di ernie del disco e non ho mai pensato di metterla in fascia! Una volta ho provato con il marsupio ma piangeva disperata e l’ho rimessa nel passeggino!
Il co sleeping non l’ho mai praticato in pieno, la nostra piccolina si addormenta con me, abbracciata a me, toccandomi la mano, ma quando vedo che si è addormenta la porto nel suo lettino, nella sua cameretta, se si sveglia (quasi mai), mi metto al suo fianco, ma quando si riaddormenta me ne vado. L’autosvezzamento non l’ho provato ho seguito l’iter classico di pappe e pappine.
La domanda è però un’altra: questo tipo di pratica ci rende genitori diversi? Oppure alla fine l’obiettivo è sempre lo stesso?
Per me la risposta è la seconda, non importa se intraprendiamo una strada invece che un’altra, dobbiamo fare quello che ci fa stare bene, ma soprattutto quello che pensiamo faccia bene al nostro bambino! Alla prossima!