Un figlio “asociale”, che fare?

I bambini non sono tutti uguali (ci mancherebbe!) e ognuno ha la propria personalità che, piano piano, si va formando sempre più. Ed i bimbi “asociali”, quelli troppo chiusi che non legano, quindi, coi propri coetanei? Perché si comportano così?

Al centro di un simile discorso bisogna sempre mettere l’interazione del bambino con il proprio ambiente: in primo luogo la famiglia, poi le scuole materne, gli asili nido, i servizi per l’infanzia, ecc. Un comportamento definito “asociale” sembrerebbe, perciò, da mettere in relazione con quegli atteggiamenti negativi vissuti nell’ambiente familiare. Se in famiglia ci dovessero essere problemi di varia natura, ma accompagnati sempre da tensioni, è inevitabile una propensione per i disturbi comportamentali. Un modo per aiutare il bambino, potrebbe essere quello di stimolarlo per far sì che segua un qualsiasi sport di gruppo, in modo che si creino occasioni per socializzare con i coetanei, confrontarsi con loro. L’impatto non sarà, probabilmente, dei più semplici per lui ma, una volta superato il primo periodo, potrà aprirsi meglio agli altri, imparando così ad interagire meglio e con maggiore naturalezza e spontaneità. Mai cercare, però, di proteggere il bimbo dai pericoli, dalle situazioni difficili. In questo modo si alimenterebbe solo la propensione alla chiusura, al considerare gli altri, ed il mondo esterno, come qualcosa di ostile e da cui salvaguardarsi. Il grosso lavoro, insomma, lo devono fare anche le mamme ed i papà.

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